Documento a cura della Rete Campana Salute e Ambiente
La monnezza, in particolare in Campania, continua a essere una buona mercanzia non solo per le tasche dei soliti affaristi ma anche per gli spot elettorali. Fu così alle amministrative di 5 anni fa e lo è anche oggi. La coppia Renzi-De Luca ha aspettato di essere a pochi giorni dalle elezioni per mettere in scena in pompa magna l’avvio dello smaltimento delle ecoballe depositate a Taverna del Re. Poco ci interessa che, nonostante la grancassa su questa vicenda e sulla presunta rinascita di Bagnoli, per il PD a Napoli l’effetto non è stato quello sperato quanto piuttosto una vera debacle né che la promessa ribadita da Renzi qualche giorno fa di trasformare la Terra dei fuochi in Terra dei fiori, premierà ai ballottaggi il partito di governo. Quello che ci interessa è fare un poco di chiarezza sulla soluzione miracolosa proposta dal duo per eliminare la vergogna della monnezza accumulata sui nostri territori negli anni dell’emergenza. Soprattutto perché il Presidente De Luca ha sfidato quelli che lui definisce “gli opportunisti che volevano che non venissero rimosse solo per protestare” a dire la propria.
Tanto per cominciare quello che è stato avviato è il trasferimento delle ecoballe di due degli 8 lotti (solo 5 già affidati alle imprese attraverso gara pubblica) in cui è stato diviso il primo milione di tonnellate di monnezza che dovrebbe essere smaltito, al costo complessivo di 150 milioni (fondi previsti dal DL. 185/2015), entro 18 mesi dall’affidamento.
Se il buon giorno si vede dal mattino, il primo stop al trasferimento a soli pochi giorni dallo show dell’inaugurazione e l’assenza di contratti con partner esteri, sono già un pessimo segnale sul rispetto dei tempi sbandierati, confermando la sensazione che la passerella cui abbiamo assistito e il crono programma, oltre a scopi puramente elettorali, puntano a dimostrare agli organismi europei di stare adottando “tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C 297/08, EU:C:2010:115)” limitando così i danni della condanna della Corte di Giustizia europea che con Sentenza del 16.07.2015 ha imposto all’Italia una penalità di EUR 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell’attuazione delle misure più una somma forfettaria di EUR 20 milioni.
Un film che abbiamo più volte visto in questi anni con il susseguirsi di viaggi della speranza (a non pagare) a Bruxelles, di Piani, delibere e direttive che sono rimasti sulla carta.
Oltre a questo primo milione di tonnellate ce ne sono altri 4.300.000 che dovrebbero essere smaltiti nel giro di 3-4 anni a patto che si proceda rapidamente all’adeguamento degli impianti esistenti e alla costruzione dei nuovi impianti previsti.
In più di un’occasione il Presidente della Regione si è vantato di risolvere il problema dei rifiuti e delle ecoballe senza ricorrere a nuovi inceneritori e nuove discariche e, insieme a Renzi, ha solennemente dichiarato che mai più camorra e malaffare sarebbero entrati nella gestione dei rifiuti.
Ma allora come saranno smaltite queste 5.300.000 tonnellate di ecoballe? E chi sono le ditte che si sono aggiudicate i primi 5 lotti?
Il primo carico di monnezza (1 milione ton) sarà smaltito ricorrendo a impianti (inceneritori e discariche) nazionali e comunitari. Stando alle indicazioni delle ditte aggiudicatrici dei primi 5 lotti, le ecoballe dovrebbero finire a Manocalzati (Avellino) e in quattro discariche di proprietà della Ecosud di Bucarest, Romania (lotti 5 e 6), in una discarica di proprietà dell’azienda Sr Technologies di Sofia, in Bulgaria (lotto 2), in un impianto dell’industria De Residuos Valor-Rib di Braga, in Portogallo, e in altri impianti italiani (lotto 4), a Pianodardine, Manocalzati, Serino e a Porto, in Portogallo (lotto 8).
In altre parole, non solo non è vero che non si useranno discariche e inceneritori, che tali rimangono anche se situati fuori dalla regione, avvelenando cittadini di altri territori con la stessa monnezza che ha già avvelenato noi, ma parte di questi veleni sarà spostata in altri luoghi della stessa Campania.
Gli altri 4.300.000, invece, secondo il Piano Ecoballe, saranno trattati negli STIR (Stabilimenti di Tritovagliatura ed Imballaggio Rifiuti) di Giugliano e di Caivano, debitamente riqualificati, e in due nuovi impianti ad hoc realizzati nei pressi delle aree dello stoccaggio delle ecoballe.
Lo STIR di Giugliano, che attualmente lavora i rifiuti ordinari, sarà rifunzionalizzato per il trattamento della vecchia monnezza. Per consentirne il revamping, i rifiuti ordinari andranno allo STIR di Tufino che sarà ampliato per accoglierli. Gli interventi di riqualificazione di Giugliano permetteranno la lavorazione di 630.000 tonnellate di ecoballe l’anno con le attuali 3 linee e con un ciclo di lavorazione continuo; un altro milione e passa di ton saranno lavorate presso il nuovo impianto. Il trattamento, che prevede una tecnica di selezione dei materiali con separatori a letto fluido “ad umido” (acqua mescolata a soluzioni saline oppure a polveri di magnesite e ferrosilicati), sarebbe finalizzato al recupero di materia. Siamo andati a spulciare i dati proposti dallo stesso Piano e quello che si evince è che i materiali che presumibilmente sarà possibile recuperare (plastica e ferro) sono stimati in circa il 25%. Quindi, su oltre 1.600.000 ton, i materiali recuperati si attesterebbero intorno alle 420 mila ton. Che fine faranno le restanti 1.261.000 ton? E’ presto detto: smaltite in discariche regionali. Alla faccia del “non ricorreremo a discariche”.
Lo STIR di Caivano sarà, invece, riqualificato per permettere il trattamento congiunto dei rifiuti attualmente conferiti e delle ecoballe grazie a 3 linee indipendenti ad esse dedicate. Allo STIR si affiancherà un nuovo impianto (4 linee) che sarà realizzato nelle aree vicine ai depositi di ecoballe. Lo STIR e il nuovo impianto tratteranno circa 2 milioni di ton di vecchia monnezza. Anche in questo caso, attenendoci ai dati forniti dallo stesso Piano, circa 1.600.000 ton diventeranno CSS (Combustibile solido secondario) da smaltire nei cementifici d’Italia ed il restante, pari a quasi 400.000 ton, dovrà andare in discarica.
Quindi, in sintesi:
1 milione di ton di ecoballe saranno trasferite fuori regione per essere smaltite o bruciandole negli inceneritori o inviandole in discariche
1.600.000 saranno bruciate nei cementifici della Campania e del resto d’Italia
1.660.000 andranno nelle discariche regionali che dovranno essere approntate
solo 420.000 ton, se va bene, saranno i materiali recuperati.
Circa 600.000 rimaste fuori dalla lavorazione negli STIR andranno, presumibilmente, all’estero in una fase successiva.
Perché, noi che abbiamo da sempre protestato contro la vergogna delle ecoballe, che abbiamo lottato contro gli inceneritori e contro ogni ipotesi di combustione dei rifiuti, che ci siamo opposti all’apertura di nuove discariche, dovremmo condividere questa soluzione?
De Luca, insieme al governo Renzi, stanno spacciando lo smaltimento delle ecoballe nei cementifici come la scelta più ecologica: bruciare rifiuti in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali farebbe recuperare energia senza gli effetti nocivi degli inceneritori e abbatterebbe le emissioni di CO2.
Una balla colossale che serve ad aggirare l’opposizione dei movimenti, in Campania e altrove, sia alla costruzione di nuovi inceneritori che all’utilizzo (previsto dallo SbloccaItalia) degli inceneritori già esistenti in Italia per bruciare le schifezze, come le ecoballe campane, che vengono anche da altri territori.
Usando la legge imposta dal governo Monti, con cui si è legittimata la trasformazione dei rifiuti in combustibile solido secondario, di fatto i circa 50 cementifici a ciclo completo presenti in Italia vengono trasformati in inceneritori e utilizzati, in questo caso, per smaltire milioni di tonnellate di rifiuti campani stoccati nel periodo dell’emergenza; con grande profitto per i signori del cemento che oltre a risparmiare sui costi di acquisto del combustibile fossile intascano gli incentivi al risparmio energetico (Titoli di Efficienza Energetica –TEE- meglio conosciuti come Certificati Bianchi) più eventuali contributi allo smaltimento.
Ci opponemmo a questa soluzione nel 2009, quando l’allora Assessore regionale all’ambiente Walter Ganapini firmò l’intesa con l’AITEC (Associazione italiana tecnico economica cemento), ci opponemmo a Clini e al governo Monti fautori di questo ignobile regalo alla lobby dei cementieri e continuiamo ad opporci oggi. Questo perché i cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti e fonte di alte emissioni di polveri e di metalli pesanti in atmosfera (CO2, PCB, ammonio, cadmio, mercurio, nickel, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, benzene, diossine e quantità incalcolabili di particolato) già senza l’uso dei rifiuti (e dei fanghi di ogni tipo, degli oli e pneumatici) come combustibile. Considerando la massa dei fumi emessi (ben oltre gli inceneritori), considerando che questi impianti non sono dotati di specifici sistemi di abbattimento delle polveri e tanto meno dei microinquinanti, e sono autorizzati con limiti di emissioni più alti, la miscelazione di combustibili fossili insieme ai rifiuti avrà l’effetto di moltiplicare la nocività di questi impianti. Una vera e propria bomba rispetto agli stessi inceneritori. Inoltre le ceneri tossiche e nocive, frutto avvelenato dell’incenerimento, invece di essere smaltite in discariche speciali come avviene per gli inceneritori, vengono inglobate pari pari nei cementi, con tutto quello che significa in termini di nocività e di stabilità per gli edifici o le strade che saranno costruite con questo cemento.
Quando De Luca dice che non avremo (forse, dato che è previsto dallo SbloccaItalia), un nuovo inceneritore in Campania, subdolamente “dimentica” di dire che i cementifici del casertano (Moccia-Cementir) e quello di Salerno (Italcementi) saranno i primi a bruciare il CSS prodotto a Caivano, aumentando i veleni che già ora spargono nell’aria e favorendo l’epidemia di tumori che colpisce quelle popolazioni e i cittadini campani in generale.
Così come mente sapendo di mentire quando definisce “ricomposizione morfologica delle cave dismesse della Campania” quella che, esattamente come in passato, è la trasformazione dei buchi disponibili in nuove discariche destinate a ricevere quei quasi 2 milioni di rifiuti risultanti dal trattamento delle ecoballe.
La verità è che la cosiddetta soluzione del duo De Luca-Renzi è peggiore del problema. Come in un gioco dell’oca della monnezza, le ecoballe vengono tolte da Taverna del Re, da Villa Literno, da Casalduni e dagli altri siti di stoccaggio, per andare ad avvelenare un’altra casella di territorio di questa o di altre regioni. Il risultato finale sarà che ai vecchi siti di stoccaggio, irrimediabilmente devastati dalla permanenza per anni di rifiuti di ogni tipo e che difficilmente vedranno realizzata quella seria (ma complicata e costosissima) bonifica di cui necessiterebbero, se ne aggiungeranno di nuovi destinati a divenire ricettacolo di veleni.
A pagare, quindi, la vergogna di Taverna del Re saranno non solo quelle popolazioni su cui maggiormente ha pesato la scellerata politica dell’emergenza rifiuti campana, ma anche altri cittadini.
Chi ci guadagna, invece, sono ancora una volta i soliti noti: grandi e piccole imprese, affaristi di ogni risma. Anche in questo caso le chiacchiere stanno a zero. Le dichiarazioni roboanti che abbiamo ascoltato sulla messa fuori gioco del malaffare e della camorra sono smentite dalla realtà. Basta guardare alle ditte che si sono aggiudicate 150 milioni di euro per lo smaltimento del primo milione di tonnellate. Ben 4 di esse sono o sono state sotto inchiesta.
Ecosistem, che in raggruppamento con Econet si è aggiudicata il lotto 4, è coinvolta nell’inchiesta su Tempa Rossa (la stessa del compagno dell’ex Ministro Federica Guidi) perché secondo la Procura di Potenza smaltiva illecitamente i rifiuti pericolosi prodotti dal centro oli di Viggiano presso i depuratori di Gioia Tauro e Bisignano. La stessa Econet è stata coinvolta in un processo sul traffico di rifiuti nel 2007.
I vertici della Defiam, che dovrebbe trattare le ecoballe del lotto 2, nel 2009 furono coinvolti in un’inchiesta su presunti smaltimenti illeciti di rifiuti nell’inceneritore di Colleferro.
Poi c’è la Vibeco che insieme ad altre imprese si è aggiudicata i lotti 5 e 6. Il nome di un dirigente della Vibeco, Bernardino Filipponi, era finito in alcune inchieste, condotte dalle procure di Milano e Rovigo, per il suo ruolo di ex rappresentante legale della più volte inquisita società Daneco Impianti che si occupa di smaltimento dei rifiuti.
Possiamo solo immaginare quali appetiti susciteranno gli altri 300 milioni previsti per smaltire le restanti 4.300.000 ton di ecoballe cui vanno aggiunti i 160 milioni per la riqualificazione degli STIR e la costruzione dei nuovi impianti.
In buona sostanza cambiano i musicisti ma la musica è sempre la stessa. E non potrebbe essere che così visto che chi oggi propone soluzioni miracolistiche rappresenta le stesse istituzioni, gli stessi partiti e gli stessi interessi responsabili per decenni dell’emergenza rifiuti in Campania e di quell’ignobile stoccaggio di monnezza. Non è un caso, infatti, che l’attuale ciclo dei rifiuti continua nel tran tran di sempre: ancora nessun reale provvedimento per ridurre a monte i rifiuti, ancora una raccolta differenziata porta a porta che stenta a decollare seriamente in tutta Napoli e in tutta la regione, ancora nemmeno un sito di compostaggio costruito per risolvere il problema dell’umido, ancora nessuna attivazione di quella filiera del recupero e del riciclo delle materie prime seconde.
Per anni abbiamo chiesto che si attuasse la rifunzionalizzazione degli STIR (il revamping) per trasformarli in veri e propri stabilimenti di recupero totale dei materiali, compresi quelli stipati nelle ecoballe, in alternativa alle discariche e alla combustione. Oggi vediamo il profilarsi di una riqualificazione indirizzata esclusivamente a produrre materiale da bruciare. Come potremmo essere d’accordo?
Noi, che abbiamo protestato, che abbiamo fatto i blocchi, che ci siamo presi le denunce per impedire che le ecoballe si accumulassero su quei territori, abbiamo da sempre sollecitato uno studio specifico che coinvolgesse esperti italiani e internazionali per la messa a punto di soluzioni e tecnologie a zero impatto ambientale per liberare quei territori e recuperarli alla loro naturale destinazione, quella agricola.
Non possiamo, quindi, essere complici di un Piano che avvelenerà altri territori con le emissioni della combustione di questi rifiuti e con nuove discariche.
De Luca può continuare a definirci (anche se ci vuole una bella faccia tosta!): “gli opportunisti che volevano che non venissero rimosse”. Contro questa soluzione che è peggiore del male, noi continuiamo a protestare.
Napoli, 16/06/2016