Il consiglio regionale calabrese ha approvato (legge 18/2017 del 18 maggio 2017) la legge regionale contenente disposizioni per l’organizzazione del servizio idrico integrato. Nonostante il presidente Oliverio proclami che tale legge vada verso una ripubblicizzazione del servizio idrico, ci preme mettere in risalto alcuni elementi che, a nostro avviso, indirizzano il settore verso tutt’altra direzione.
Già dalla sua genesi, la legge approvata dalla Regione presenta un difetto di democrazia. Infatti, nel percorso legislativo si sarebbe dovuta discutere anche la nostra proposta di iniziativa popolare “Acqua Bene Comune Calabria”, firmata da oltre 11mila cittadini calabresi, compreso il presidente Oliverio, e sottoscritta da più di 20 consigli comunali, tra cui quelli di Cosenza, Lamezia Terme e Castrovillari. Tuttavia, si è deciso di adottare come testo base di discussione quello della giunta regionale, mettendo da parte il nostro, frutto di un percorso partecipativo.
Eppure, per favorire la discussione della nostra proposta, nella scorsa primavera abbiamo percorso le piazze calabresi con una campagna le cui parole chiave sono state “Basta Sorical”, “Basta SPA”, “Pubblico&Partecipato”.
Con essa, chiedevamo la chiusura definitiva del carrozzone Sorical, che – nonostante la liquidazione volontaria – fa ancora il bello e cattivo tempo in Calabria e sta procedendo a un’opera di “restyling” anche tramite una surreale campagna di comunicazione (perché, oltre alla politica, ci sono amici e clienti in tutti i campi). Chiediamo che la Veolia, socio privato di Sorical, risponda dei danni fatti nella nostra regione (mancati investimenti, mutuo con Depfa bank, Alaco e via discorrendo…).
Chiedevamo, inoltre, di superare la gestione privatistica del bene comune acqua e approvare una “vera” gestione pubblica e partecipata. Niente Spa, ma aziende speciali, enti di diritto pubblico che operano negli interessi del pubblico, con una forte partecipazione di cittadini e lavoratori. Infatti, sostanziali differenze esistono tra Spa (anche a intero capitale pubblico) e aziende speciali. Ad esempio la Spa può fallire mentre l’azienda speciale no, con conseguenze diverse non solo sul piano economico ma anche sociale e sanitario; inoltre le Spa hanno scopo di lucro mentre l’azienda speciale ha l’orizzonte del pareggio di bilancio, da cui discendono politiche aziendali diverse e, ancora una volta, conseguenze diverse sul piano socio-economico.
La legge regionale mantiene alcuni di questi principi fondamentali? Purtroppo no. Sebbene essa istituisca, dando seguito alla normativa nazionale, l’Autorità idrica calabrese (Aic), ente pubblico con lo scopo di governare ed organizzare il servizio idrico, la scelta dell’effettiva forma di gestione di tale servizio (pubblica o privata) è demandata all’assemblea dell’Aic, che sarà in prima battuta presieduta dal sindaco della città capoluogo, per ironia della sorte un (non rimpianto) ex-presidente Sorical. In particolare, nulla vieta che si proceda all’affidamento a una Spa con capitali totalmente pubblici o misti (come Sorical o, in prospettiva, Acea) e quindi si realizzi una privatizzazione sostanziale del servizio idrico.
Inoltre, è sempre più ambigua la posizione di Sorical, la quale – nonostante sia in liquidazione – si impegna a rinnovare la sua immagine con massicce campagne comunicative, mentre nel testo della legge riemerge la figura anomala di un “fornitore d’acqua all’ingrosso”, cioè il ruolo attualmente rivestito da Sorical. Che cosa ne sarà del socio privato di questa Spa, la multinazionale Veolia? Se la caverà cedendo le sue quote, come proposto, alla cifra simbolica di 1 euro o, piuttosto, pagherà i danni arrecati al sistema idrico calabrese? Il contesto (normativo e politico), ahinoi, spinge verso un gestore unico che si occupi anche delle reti comunali. A parte il fatto che a noi l’idea che un unico gestore si occupi in tutta la regione dell’intera rete pare non più che un pio desiderio, chi proverebbe a rivestire questo ruolo? Davvero Sorical vorrebbe gestire le reti comunali, che sappiamo essere un colabrodo o, piuttosto, si limiterebbe semplicemente ad acquisire queste reti grazie alla presenza della Regione tra gli azionisti per poi rivendere il “pacchetto completo” ad un qualsiasi privato, come una delle 4 multiutilities nelle quali si sta concentrando la gestione del servizio idrico nel territorio nazionale e quindi, definitivamente, procedere ad una privatizzazione sostanziale?
Infine, la partecipazione degli enti locali è molto complicata. Soltanto 40 enti locali parteciperanno all’Aic e, sebbene si preveda la costituzione dei Comitati territoriali di zona (Ctz), l’assemblea dell’Aic può respingere le richieste da questi provenienti.
In definitiva, lo scenario è confuso e molti segnali ci spingono ad esser preoccupati per la gestione del bene comune acqua in Calabria. Tuttavia si può e si deve ancora fare qualcosa. Gli enti locali possono ancora scegliere di affidare il servizio idrico ad un ente di diritto pubblico e, proprio per questo, chiediamo la mobilitazione di tutti i comitati locali per fare pressione sui sindaci: ripartiamo dai comuni e torniamo ad interessarci dei problemi delle nostre comunità, riappropriandoci della gestione del bene comune acqua.
Laddove è geograficamente e naturalmente possibile, le comunità locali scelgano subito di gestire l’acqua in proprio e realizzare quella gestione dei beni comuni da e per le comunità locali che auspicava il compianto e illustre conterraneo Stefano Rodotà. Laddove non è possibile, le comunità locali facciano in modo che i sindaci siano consequenziali agli impegni presi durante la campagna referendaria del 2011 e scelgano una gestione realmente pubblica dell’acqua. Recentemente, Alberto Lucarelli, ordinario di Diritto costituzionale all’Università Federico II di Napoli ed estensore dei quesiti referendari del 2011, ha predisposto una bozza di delibera per la ripubblicizzazione dell’Acquedotto Pugliese, che – alla luce del diritto europeo e nazionale – è giuridicamente sostenibile. Inoltre un’azienda speciale non sarebbe soggetta al decreto Madia sulle partecipate, per cui «l’unico modo per mettere in sicurezza l’acqua come bene comune e il servizio idrico integrato pubblico, e auspicabilmente partecipato, è quello di passare velocemente all’azienda speciale». Che i sindaci sposino la volontà popolare espressa durante il referendum e un percorso simile a quello pugliese si avvii anche in Calabria. Se non lo fa la politica regionale, muoviamoci e facciamolo noi cittadini. Oggi più che mai, si scrive acqua, si legge democrazia!
Coordinamento calabrese Acqua pubblica “Bruno Arcuri”