«Sono questi i vuoti d’aria / Sono come buchi neri / Questi buchi nei pensieri / Si fa finta di niente / Lo facciamo da sempre / Ci si dimentica / Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena / Per sopportare il peso di ogni scelta / Siamo il confine della nostra libertà / Siamo noi l’umanità / Siamo in diritto di cambiare tutto e ricominciare, / ricominciare».
(Fiorella Mannoia)
“Un vuoto d’aria” è quello che in molti abbiamo improvvisamente sentito dopo le elezioni. “Ognuno ha la sua parte in questa storia”. Nel bene e nel male. Su Riace, nel bene, perché migliaia di persone hanno voluto riconoscere in questo piccolo paese della Locride un luogo in grado di accogliere la speranza e l’hanno sostenuto con caparbietà. Aggrappandosi quasi fosse l’ultima spiaggia in questo declino generale. Tuttavia non è bastato perché i colpi inferti l’uno dopo l’altro sono stati pesantissimi e – diciamolo – con un accanimento non consueto.
Chi si stupisce perché a Riace ha vinto la Lega evidentemente non ha seguito la lunga via crucis a cui la sua esperienza è stata sottoposta. Dalle ispezioni della Prefettura con relazioni positive sul progetto di accoglienza casualmente tenute nascoste, “sparite” per oltre un anno. Ai contributi statali per i progetti non versati da due anni (mettendo in ginocchio l’economia di un paese). Alle intercettazioni ambientali rese pubbliche con il solo scopo di alimentare maldicenze. All’arresto, all’inchiesta, allo sfratto della sede a palazzo Pinnarò, al “confino” e all’impossibilità di fare una campagna elettorale e via seguitando. È quasi impossibile elencare tutto quello che è successo in un attacco su più fronti.
Si è dovuto organizzare una passeggiata (l’11 maggio) in mezzo ai campi fino a Stignano per permettere alla comunità di riabbracciare il suo sindaco dopo otto mesi di confino (vedi Riace: qui si fanno miracoli). Ma ormai il danno era stato inesorabilmente fatto.
Nel 2004, la vittoria elettorale era stata un miracolo, fra altre liste che si erano spartite i voti, e Lucano era stato eletto sindaco con il 35,4% dei voti. Nella seconda elezione, nel 2009, Lucano aveva vinto con un grande consenso, il 51,7%: non perché i riacesi si fossero tutti quanti convertiti alla causa umanitaria ma, molto più prosaicamente, perché moltissime famiglie riacesi avevano potuto trovare lavoro nei progetti. Domenico Lucano aveva dato letteralmente fuoco alle polveri con le sue idee e con una rinascita del paese di cui tutti potevano beneficiare. Da povero paese che si stava spopolando era diventato un luogo dove anche il turismo stava prendendo piede. Al terzo mandato amministrativo Lucano era stato ancora riconfermato con il 54,48% dei voti. Ormai aveva inglobato anche i suoi avversari dando a tutti la possibilità di un lavoro nei progetti e un ruolo nell’amministrazione: un errore che avrebbe pagato subito con una crisi di giunta e brutte storie successe.
Va anche segnalato che Riace è divisa in due parti: la marina (più turistica e attratta alla cementificazione), dove vive la maggior parte delle persone, e il borgo superiore, quasi fermo nel tempo, fra anziani e vecchie case, ora ripopolato dai migranti. Sul borgo il sindaco aveva investito molto e, di conseguenza, era aumentato il distacco con la marina. Tant’è che, alla conta dei voti, i riacesi del borgo immaginavano di riuscire a coalizzarsi tutti in un blocco unico in modo da contrastare la marina. Così non è stato.
A influire, più ancora della politica nazionale, è stata una ricaduta nel declino del paese. Sono bastati pochi mesi della chiusura del progetto per cambiarne il volto. I riflettori internazionali, le fiction girate, i registi, gli artisti che hanno voluto essere presenti a Riace, l’interesse e l’affetto per Lucano da parte di piazze intere in tutta Italia, invece di portare consenso possono aver provocato invidia e maldicenza, mentre il regresso del paese avanzava e i cittadini tornavano a essere disoccupati e sottopagati con i figli costretti a emigrare al Nord, senza una speranza.
Così il voto è andato altrove, alla rincorsa di un sogno e di un leader che promette strabilianti cambiamenti.
Riace e Lampedusa sono stati accumunati dalla stessa sorte elettorale e i giornalisti si sono sprecati in analisi assurde che parlano di “tradimento”. I riacesi e i lampedusani non erano santi prima e non sono mostri ora. Sono la fotografia di questo Paese: solidale al momento di aprire le case di fronte alla richiesta di aiuto ma incazzati nero con tutte le difficoltà della vita.
Ora si ricomincia, come in un gioco dell’oca si torna alla prima casella. È lo stesso Domenico Lucano che lo ricorda. Del resto il progetto di Città Futura, il villaggio globale è nato ben prima della fase amministrativa.
Ricominciare, dice la Mannoia nel suo testo “Il peso della vita”. E si ricomincerà. Non a caso la Fondazione “È Stato il Vento” ha preso il via il 15 maggio, con lo scopo di supportare la rinascita del borgo, far riaprire le botteghe, riportare vita in quei vicoli, pensare a un’accoglienza non istituzionale dei migranti. Un primo passo è stato fatto (grazie alla sottoscrizione di tante persone) con l’acquisto di una nuova sede, sempre a Palazzo Pinnarò. Tutti gli altri passi (e saranno molti) verranno di seguito anche grazie al premio “Antonio Feltrinelli” che la Rete dei Comuni Solidali ha ottenuto dall’Accademia dei Lincei per una “impresa eccezionale di alto valore morale e umanitario” proprio per un progetto su Riace.