Il tentativo di D’Angelis di far passare il movimento per l’acqua come difensore dello status quo cozza sia con la legge d’iniziativa popolare presentata dallo stesso già nel 2007, sia con il piano per il finanziamento del servizio idrico consegnato nel 2010, sia infine con la pratica concreta nei diversi territori, dove da sempre si rivendica la gestione partecipativa delle comunità locali.
Tutti temi su cui la maggioranza assoluta degli elettori si è chiaramente pronunciata nel giugno 2011, senza alcun atto di attuazione di quanto deciso. D’Angelis dà per «oggettive» scelte politiche come il patto di stabilità interno e il fiscal compact, che hanno il preciso scopo di mettere gli enti locali con le spalle al muro per costringerli (volenti e nolenti, spesso volenti) a privatizzare l’acqua e tutti i servizi pubblici locali.
Così come sembra considerare l’intervento dei privati e la quotazione in Borsa come antidoti alla corruzione degli apparati pubblici, quando è proprio la concezione privatistica, applicata anche a Spa a totale pubblico, a produrre e moltiplicare quei fenomeni.
Restano due domande, sulle quali D’Angelis svicola:
- da dove possono essere ricavati i profitti nella gestione dei servizi pubblici locali se non da riduzione del costo del lavoro, diminuzione degli investimenti e della qualità, aumento delle tariffe e spinta al massimo consumo delle risorse?
- come mai i grandi interessi finanziari sono tutti concentrati sulle multiutility del nord e hanno pochissimo interesse agli investimenti nel sud? Non sarà perché nel nord servono pochissimi investimenti e quindi si può semplicemente passare alla cassa, mentre al sud dove gli investimenti necessari sono molti di più si aspetta che si attivi il «pubblico» per poi presentarsi a giochi fatti?
Marco Bersani (Attac Italia)
Tratto da: ilmanifesto.info