Cambiano i governi ma non mutano le politiche ultraliberiste
Il quadro politico-istituzionale che, come redazione, ci troviamo sullo sfondo durante la stesura di questo articolo è un quadro per certi versi prevedibile.
La disinvoltura con la quale il M5S passa da un partner di governo sovranista e razzista quale è la Lega Nord, ad un altro, il PD, che prova a darsi un tocco di rosso per riacquisire una improbabile verginità politica, porta allo scoperto inequivocabilmente quella che è la natura e la composizione politica volatile ed estremamente inconsistente di un movimento che aveva fondato la sua ragion d’essere nel sostegno, senza se e senza ma, ai grandi movimenti di lotta contro le grandi opere inutili e imposte, e per la difesa e la riappropriazione dei beni comuni (acqua in primis).
Da oltre dieci anni il movimento di lotta per l’acqua è in campo per contrastare le politiche liberiste che si prefiggono la definitiva cessione al mercato dell’acqua e dei beni comuni.
Il percorso sin qui seguito è stato in grado di mettere insieme resistenza e proposta: si è costruita una forte opposizione alle privatizzazioni facendo ricorso alla sensibilizzazione attiva, alla mobilitazione politica, all’attivazione sociale fino alla disobbedienza civile, e contemporaneamente si è avanzata una proposta radicale e alternativa utilizzando anche lo strumento istituzionale della legge d’iniziativa popolare, depositata già nel 2007 con oltre 400.000 firme a sostegno. Una legge che si pone l’obiettivo di promuovere una gestione pubblica, partecipativa e ambientalmente ecocompatibile dell’acqua, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca gli investimenti e i diritti dei lavoratori fuori da qualsiasi logica di profitto.
La passata legislatura M5S-Lega Nord non ha portato a termine quanto aveva preannunciato nel cosiddetto “contratto di Governo”. Da subito abbiamo denunciato come la parte relativa al tema dell’acqua fosse del tutto insufficiente, inadeguata e non rispettosa dell’esito referendario. Abbiamo evidenziato il rischio che si ottenesse il risultato di consolidare l’attuale assetto gestionale e di governance volto alla massima mercificazione del bene.
E così è stato. Non c’è stata traccia di nessuna modifica radicale della normativa in materia di servizi pubblici locali e in particolare del servizio idrico integrato verso la ripubblicizzazione.
I ripetuti rimpalli e i continui rimandi della discussione della legge d’iniziativa popolare dalla Commissione alla Camera e viceversa hanno però avuto il merito di dimostrare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la reale natura del PD e della Lega Nord uniti (seppur avversari sulla carta) in una strenua difesa degli interessi privatistici delle multiutility del Centro-Nord.
Ad onor di cronaca l’unico intervento legislativo con al centro il tema dell’acqua è stato quello contenuto nell’artico 24 del cosiddetto decreto crescita (poi convertito in legge, la n. 58 del 2019) che di fatto ha privatizzato l’acqua del Meridione imponendo la trasformazione in una società di capitali dell’E.I.P.L.I., lo storico e importante Ente per lo sviluppo dell’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia.
Non si tratta solo di un’operazione di evidente privatizzazione ma soprattutto di un’operazione che s’inserisce a pieno in quella logica portata avanti da alcuni anni, in particolare dalle lobby economico-finanziarie, volta a costruire soggetti di scala sovra-regionale in grado di mettere in campo meccanismi che rendano effettivamente profittevole la gestione dell’acqua, a maggior ragione nel Meridione dove i processi di aggregazione societaria sono ancora irrealizzati.
Un provvedimento come questo allude pesantemente al gestore unico del Sud Italia costruendo le condizioni perché anche in questi territori la gestione sia appetibile dai soliti noti come ACEA, A2A, SUEZ e VEOLIA. Anche gli emendamenti che hanno proposto i pentastellati risultano solo una foglia di fico per provare a proteggere la loro prima stella che, dopo lo stop alla discussione sulla legge per l’acqua pubblica, è in evidente caduta libera.
Oggi il quadro istituzionale, come dicevamo, sembra mutato ma solo apparentemente.
Nell’accordo di programma tra PD e M5S sottoscritto nelle scorse settimane la nuova compagine governativa mette la “questione acqua” al 22° punto scrivendo: “L’acqua è un bene comune: bisogna approvare subito una legge sull’acqua pubblica, completando l’iter legislativo in corso”.
Potenza di un articolo: basta mettere “una legge sull’acqua pubblica” invece che “la legge sull’acqua pubblica” e si può dire ai movimenti di stare tranquilli perché le loro istanze sono state accolte, mentre si fa l’occhiolino alle multiutility, facendo capire loro che la legge non sarà quella dei movimenti.
Intanto il movimento di lotta per l’acqua, per evitare gli ennesimi giochini di potere, ha richiesto che la competenza sulla legge per l’acqua pubblica – nella versione promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua – sia attribuita direttamente ad un esponente del Governo proprio perché l’iter di approvazione di iniziativa parlamentare ha mostrato grossi limiti e poi perché nell’iter di iniziativa parlamentare il governo è soggetto terzo che interviene sul tema portando una propria visione e questo influenza l’iter, mentre sarebbe opportuna una concertazione preventiva interna al governo. È opportuno quindi che sia individuato un esponente del governo con il compito di recepire e lavorare sul testo per poi successivamente farlo deliberare dal Consiglio dei Ministri quale disegno di legge approvato e condiviso da tutte le forze presenti nel governo e farlo infine giungere per l’approvazione in Parlamento che rimane chiaramente il luogo deputato alla produzione legislativa.
Decentrando lo sguardo sul quadro politico regionale la situazione – possiamo dire – è rimasta immutata rispetto a quanto abbiamo già scritto su queste pagine.
Dopo l’approvazione dello Statuto dell’Autorità Idrica della Calabria (AIC) il 6 novembre del dello scorso anno e l’elezione – in seno all’Assemblea dell’AIC – lo scorso 29 luglio del Presidente Marcello Manna (Sindaco di Rende) e del Vicepresidente Alessandro Falvo (sindaco di Cicala), nulla ad oggi è stato deciso circa il futuro soggetto (pubblico o privato?) gestore unico del servizio idrico integrato regionale.
In questa confusione e incertezza istituzionale e a due anni dall’approvazione della Legge Regionale n.18/2017 che istituì l’Autorità Idrica, la Sorical Spa (società in liquidazione dal 2015) continua a fare il bello ed il cattivo tempo nel settore idrico in Calabria.
Il meccanismo che si perpetra è, in definitiva, sempre identico: difesa dello status quo, privatizzazioni, concentrazione dei poteri nelle mani di pochissimi (e direi anche fedelissimi) sindaci calabresi e tutto questo senza alcuna possibilità da parte delle comunità locali di auto-determinarsi rispetto, ad esempio, alle forme di gestione del servizio idrico.
La stessa legge regionale risulta priva di reali forme di partecipazione popolare se non appunto un fantomatico “Comitato consultivo degli utenti del servizio idrico e dei portatori di interessi” che nulla ha a che fare con il paradigma partecipativo, sostenuto e portato avanti dai movimenti di lotta per l’acqua, inteso come reale potere decisionale da far praticare direttamente – sotto forma di partecipazione popolare – ai comitati e ai movimenti in difesa del territorio.
Un testo di legge che, pur nella sua impasse, da una parte si allinea al diktat dei poteri centrali e dei mercati, dall’altra tenta di superare le ataviche difficoltà regionale nella quale siamo piombati dopo la catastrofica gestione Veolia (socio privato di Sorical Spa) contraddistintasi da una pratica di tipo affaristico-clientelare poi balzata agli onori della cronaca con una serie di operazioni giudiziarie (vedi Ceralacca, Ceralacca 2, Alaco, Corte dei Conti, ecc.) che hanno tracciato un quadro abbastanza chiaro su quale fosse il reale profilo aziendale del colosso multinazionale francese.
In un quadro così disarmante, ai movimenti di lotta per l’acqua non resta che continuare con più efficacia le proprie battaglie, territorio per territorio, non retrocedendo di un solo passo rispetto alle rivendicazioni che da sempre hanno caratterizzato il variegato movimento: difesa dell’acqua, riappropriazione dei beni comuni, ripubblicizzazione e partecipazione diretta.
Oggi con un contesto normativo regionale che, in maniera subdola, cerca di delegare le scelte ai Comuni, non mettendoli però nei fatti nella possibilità di scegliere autonomamente, le lotte dovranno concentrarsi maggiormente sul piano delle pratiche territoriali, chiedendo ai sindaci calabresi un atto di coraggio e dignità rifiutando di delegare ai privati e ai potentati di turno la scelta sul futuro del servizio idrico in Calabria!
Gennaro Montuoro
Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica “Bruno Arcuri”
Tratto da: http://cotroneinforma.org/wp-content/uploads/2019/10/138.pdf