UN CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE

Il covid tiene banco nell’informazione mediatica e nelle politiche governative, delle regioni e dei comuni: un centro di gravità permanente, uno stato
di sospensione del vivere quotidiano. Tra continui bollettini sanitari e limitazioni sulle attività produttive e sulla libertà di movimento, questo clima pandemico ha stravolto le abitudini di vita, ha innescato una grave crisi economica e seminato incertezze per il futuro.
Configurato come emergenza, il tutto ruota sul sistema sanitario nazionale, nell’organizzazione degli ospedali e del piano vaccinale.
La gestione della pandemia, ormai da un anno, ha messo in risalto le criticità della sanità italiana dopo anni di tagli economici e del blocco delle assunzioni. Il sistema continua a reggere grazie a un comportamento stoico di medici e infermieri che, con grande professionalità e inventiva, lavorano senza risparmiarsi, fronteggiando il covid nei reparti e nelle terapie intensive, nonostante i mille problemi che continuano ad essere tali a
distanza di un anno.
Anche il piano vaccinale, considerato la risoluzione del problema, ha mostrato le falle fin dalla partenza, con uno stillicidio di tagli alle forniture, rallentamenti e intoppi nella distribuzione. Le case farmaceutiche la fanno da padrone, con profitti miliardari, e negando l’uso dei brevetti nonostante ingenti finanziamenti pubblici ricevuti per la ricerca del vaccino.
Intanto, mentre l’intero meccanismo del sistema sanitario ruota attorno al covid, tutto il resto frana rovinosamente. Non si può ragionare e operare soltanto sul covid, perché tante persone soffrono d’altro, muoiono per altre ben importanti malattie.
Volendo analizzare i dati diffusi per l’anno 2020, ci si accorge che i morti in Italia per le altre patologie sono ben superiori a quelli attribuiti al covid.
Le preoccupazioni si concentrano in particolare sui tumori e sulle malattie cardiovascolari.
Di tumori muoiono circa 500 persone al giorno. Si stima che nel 2020 siano stati diagnosticati circa 377.000 nuovi casi di tumori maligni.
In questo ultimo anno è saltata tutta l’organizzazione sulla prevenzione, la diagnosi, la presa in carico delle malattie. Gli screening oncologici sono letteralmente crollati e si arriva negli ospedali con forme tumorali più avanzate.
Per le patologie cardiovascolari ne muoiono circa 600 al giorno, e c’è stato un aumento in particolare degli infarti, con le persone che arrivano spesso al pronto soccorso in fase acuta, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
E poi ci sono da annoverare le patologie psichiatriche notevolmente aumentate, diretta conseguenza delle paure, delle inquietudini provocate dal clima pandemico, con gran parte della popolazione che ha sviluppato sintomi ansiosi e depressivi, anche gravi. Volendo tralasciare quanti chiusi in casa imbottiti da ansiolitici e antidepressivi (lo smercio di questi farmaci va a gonfie vele), gli ospedali gestiscono depressioni e altre forme di disagio mentale, sia nei minori, sia negli adulti, categorie soggette a costrizione scolastica e lavorativa.

Messi fin qui dentro alcuni aspetti imprescindibili del sistema sanitario nazionale, ci interessa ragionare adesso su quello calabrese, dove non mancano elementi di interesse e di una certa complessità.
Si è fatto un gran parlare della questione sanitaria calabrese nell’ultimo anno. Il teatrino dell’assurdo ha toccato l’apogeo con la nomina del commissario alla sanità, dopo dimissioni, rinunce e un toto-nomine che ha appassionato la stampa in tutte le sue articolazioni mediatiche.
Si è approdati all’ennesimo commissario per gestire la situazione disastrosa del sistema regionale calabrese, dopo undici anni di commissariamenti di nomina governativa, tutti inadempienti nel fornire i Livelli essenziali di assistenza, capaci soltanto di rispettare fantomatici piani di rientro. Il nuovo commissario, in linea di continuità con i precedenti, non ha portato alcun significativo cambiamento, seppur da Roma si proclamavano programmi di
ammodernamento delle strutture e una riorganizzazione della sanità calabrese con finanziamenti specifici. Si era arrivati a prospettare interventi fino a qualche miliardo di euro. Ma quando mai.
A distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia del vil denaro non v’è traccia, non sono aumentati i posti di terapia intensiva e semintensiva, non è stato avviato alcun piano occupazionale, e tutte le strutture inutilizzate aspettano di essere riqualificate.
Anche per il piano vaccinale, la Calabria rimane fanalino di coda nazionale per somministrazione dei vaccini. Cosa lo diciamo a fare.
Le criticità sul fronte pandemico e del piano vaccinale, vanno ad aggiungersi ai problemi già esistenti che configurano la Calabria con il peggiore sistema sanitario della nazione. Mancano medici, infermieri e personale sanitario, e quelli rimasti fanno i salti mortali per mantenere la baracca in
piedi. Le strutture già lavoravano sotto organico; la pandemia ha reso le condizioni ancora più difficili, e fra tagli, pensionamenti e mancato turnover gli ospedali non reggono.
Anche i poliambulatori si ritrovano con il personale al lumicino, mentre i medici di medicina generale non vengono nominati da anni. Le liste di attesa per l’assistenza di base o specialistica, oppure per i ricoveri ospedalieri hanno tempi biblici di prenotazione: per i calabresi è negato il diritto all’assistenza sanitaria, non ci sono altre spiegazioni.
Di conseguenza, un calabrese su cinque si sposta nelle regioni del centro-nord per la cura delle patologie più gravi. Ma si parte anche per curare una
tiroide, una labirintite o qualsiasi altra patologia: un’emigrazione per le cure che implica spese di viaggio, vitto e alloggio delle famiglie, mentre il Fondo sanitario regionale paga oltre 300 milioni di euro l’anno per le prestazioni nelle altre regioni. Messa in questo modo, sorge il sospetto di un meccanismo costruito ad arte per stornare le poche risorse economiche calabresi verso le regioni più ricche del paese.
La situazione in Calabria è drammatica. Il problema sanitario è una condizione ormai strutturale che va affrontata con ben altro atteggiamento. All’immobilismo e all’incapacità della politica nel proporre soluzioni, rispondono migliaia di cittadini, dallo Stretto al Pollino, che si battono quotidianamente per un diverso sistema sanitario e per la riapertura degli ospedali di comunità depotenziati o semi-abbandonati nel corso degli anni,
come Locri, Cariati (nella foto), San Giovanni in Fiore, Mesoraca, Siderno, Polistena e chissà quanti altri ancora.
Si percepisce una grande indignazione in tutta la regione, una nuova presa di coscienza contro l’indifferenza, nella necessità di essere partigiani nel senso gramsciano, ovvero nell’assunzione di una diversa responsabilità civile per rivendicare una sanità regionale come un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Dai palazzi romani non possono far finta di non vedere e non sentire.

[Pino Fabiano]

 

Tratto da Controneinforma n.142

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