Referendum no triv – Iter della tornata referendaria

Lo sterile dibattito mediatico di queste ultime settimane sul referendum del 17 aprile  (digerito con il liquore della polemica politico/partitica per le note vicende lucane), mi costringe a tentare di fare un po’ di chiarezza sulle vicende che si sono succedute dal momento della presentazione dei 6 quesiti referendari da parte di 10 Consigli Regionali.

 

Primo punto, il soccorso delle Regioni.  

C’è da considerare per l’appunto il soccorso arrivato dalle Regioni alla campagna referendaria. Probabilmente la raccolta delle firme necessarie alla presentazione dei quesiti, se effettuata per via popolare avrebbe necessitato di un tempo maggiore, l’inevitabile dilatazione del momento della presentazione e il probabile rinvio della tornata referendaria.

La costrizione forzata del supporto dei Consigli Regionali è stata necessaria, ma forse non sufficiente per far sì di legittimare popolarmente e far assimilare l’importanza della posta in gioco con i 6 quesiti.

La volontà popolare consegna sempre più legittimità alle richieste.  

 

Secondo punto, le strategie del Governo.

Le modifiche apportate con gli emendamenti alla Legge di Stabilità 2016 hanno recepito, a parere del Governo e della Corte Costituzionale, 5 delle 6 proposte avanzate dai quesiti referendari, per cui vi è stata la decadenza immediata di tali 5 proposte abrogative.

In questo contesto, tramite questa mossa strategica appare chiaro anche l’intento del Governo.

Evitare che si potesse andare a votare su un più ampio ventaglio di quesiti, i quali avrebbero inevitabilmente portato ad una più ampia campagna di protesta sulle norme da abrogare.

È altrettanto vero però, che i quesiti referendari hanno già ottenuto un risultato concreto, la modifica della disciplina che regolava alcuni punti normativi sulla ricerca di idrocarburi, tra i quali: «i principi di strategicità, indifferibilità, urgenza, pubblica utilità […] della titolarità all’esproprio già prima dell’esito delle attività di prospezione e ricerca […] dell’abolizione del diritto di decisione da parte dello stesso Presidente del Consiglio, al termine di tempi ristretti e di un iter che esclude l’intesa “in senso forte” tra Stato ed Enti locali in sede di Conferenza dei Servizi».

Ma, al contempo, il non raggiungimento del quorum potrebbe essere utilizzato strumentalmente dal Governo per poter affermare che agli italiani non interessano questi argomenti e potrebbe essere un’arma per poter rinnegare le modifiche già apportate.

 

Terzo punto, il conflitto di attribuzione.

Infatti, a seguito delle modifiche apportate alla Legge di Stabilità 2016, 6 delle 10 Regioni che avevano promosso i referendum hanno posto alla Corte Costituzionale un presunto conflitto di attribuzione su 2 dei 5 quesiti recepiti con le modifiche. La Consulta ha ritenuto inammissibile tale conflitto.

Non però nel merito del conflitto di attribuzione, bensì interpretando che «[…] Non è stata, infatti, espressa la volontà di sollevare detti conflitti da almeno cinque dei Consigli regionali che avevano richiesto il referendum prima delle modifiche legislative sopravvenute».

Ciò, secondo la Corte Costituzionale, dato che:

  • Non può essere accolta la tesi dei ricorrenti secondo cui «una volta che i Consigli regionali abbiano deliberato l’iniziativa referendaria e nominato i propri delegati, ex art. 29 della l. n. 352 del 1970, costoro sono [comunque] deputati ad agire in nome e per conto dei relativi Consigli “a difesa” (lato sensu) dell’iniziativa stessa, in virtù del mandato ricevuto con la deliberazione consiliare»;
  • I delegati sono privi di legittimazione a proporre il conflitto, in quanto l’iniziativa spetta esclusivamente ai Presidenti dei Consigli regionali, previa delibera dei Consigli stessi […]».

Quindi, in definitiva, i delegati dei Consigli regionali non si possono considerare deputati ad agire per conto dei consigli stessi e per tale motivo la Corte ritiene che non vi siano stati almeno 5 Consigli Regionali che abbiano sollevato il conflitto di attribuzione.

Non si può perciò escludere che nel merito i conflitti di attribuzione avessero fondatezza.

 

Quarto punto, il quesito residuo.

Il quesito riguarda l’art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 151 (con le successive modifiche e integrazioni sopravvenute). Una abrogazione totale dell’articolo in questione non sarebbe stata possibile e comunque neppure auspicabile, poiché abrogando interamente l’articolo si abrogherebbe anche il divieto di ricerca e di estrazione del gas e del petrolio entro le dodici miglia marine.

Per tale motivo il quesito chiede di abrogarne la parte in cui si prevede l’inapplicabilità del divieto di estrazione entro le 12 miglia marine ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dei decreti di modifica dell’articolo 6, comma 17.

In sintesi, si chiede di applicare la norma per cui le estrazioni entro le 12 miglia cessino con la conclusione del titolo minerario e non fino all’esaurimento del giacimento.

 

Per tutti questi motivi dobbiamo andare a votare e votare sì.

Peppe Guarascio

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