LEI. COME TANTE

 

L’osservo: mesta e mogia mogia, apatica, con l’aria stanca e disinteressata. Sono ore che se ne sta lì, assorta, sprofondata nella poltrona davanti al focolare, immersa nei pensieri, con lo sguardo fisso nella stessa direzione: tra un mattone e l’altro della colonna del focolare, la colonna più distante, quella che la riporta verso ricordi lontani. Non lascia trasparire nessuna emozione, immobile, tanto da poterla scambiare per la tappezzeria della poltrona stessa. I piedi, nelle ciabatte vissute, appoggiati al gradino, cercano di carpire quell’ultimo tepore di una fiamma consumata. Ogni festa è passata. Fa freddo fuori, d’altronde siamo a gennaio e, intorno, le montagne imbiancate, invitano silenziosamente a invariabili e profonde riflessioni. Il fuoco, in casa, si sta spegnendo e, se non avesse reagito in tempo, ravvivando quella fiamma, il freddo l’avrebbe avvolta nel suo gelido abbraccio e nessuna copertina l’avrebbe più scaldata. Si sarebbe sentita ancora più smarrita in quelle logoranti e inutili commiserazioni. Posso immaginare cosa si stia chiedendo e fino a che punto si sono spinti i suoi pensieri… ti domandi chi sei, se sei stata in grado nella vita di adempiere a tutti i tuoi doveri. Che poi, per te, doveri non sono mai stati, piaceri piuttosto. Se avresti potuto fare di più di quello che hai fatto, se sei stata abbastanza presente. Quanto abbastanza ti sei sacrificata, abbandonando i tuoi sogni, per amore dei figli, della famiglia.
Aveva intrapreso, in giovane età, il mestiere di mamma, sapendo che una mamma deve esserci sempre e deve saper dare il buon esempio. Cercava il giusto senso al suo modo di essere. Cercava un appiglio per non sprofondare nel nulla, una speranza!

Tanto il tempo era passato e, quello che doveva accadere è accaduto, niente può più essere cambiato. Cerco di scuoterla da quel torpore; ma percepivo che nessuna cosa, in quel momento, l’avrebbe risollevata. Le suggerisco di mettere altra legna sul fuoco, così, tanto per farla muovere. Potrei farlo io, è vero, ma oggi voglio essere osservatrice e non disturbatrice. Del resto, neanche mi considera, sono come un fantasma per lei, un fastidioso fantasma che interrompe il vagare della sua mente confusa.
La guardo, non è il suo corpo che si sta consumando a preoccuparmi; ma il suo spirito che si sta svuotando. Lo sguardo languido me lo conferma, quello sguardo velato che nasconde un pianto asciutto, senza più lacrime. Sa che si può arrivare a fingere per non dare preoccupazione ai figli. Sa che, a volte, è meglio fingersi sordi, piuttosto che subire certe mancanze. Preferisce passare per “svanita”, piuttosto che star dietro a questo mondo che, in continua evoluzione, cambia. Sceglie di dire che ha un corpo estraneo in un occhio, piuttosto che mostrare le sue preoccupazioni e le sue debolezze. A volte è capace di arrestare il battito del cuore, per poter eludere gli insopportabili vuoti affettivi. Conosce quanto lunga può essere una notte; ma sa che in quel tempo, il tempo della notte, può spaziare verso i suoi sogni e avvicinare ogni distanza. Una mamma sa sempre tutto!
Con lente movenze… ritorna. Allunga la mano tremante ancor prima di tutto il braccio. Con gran fatica prende un ciocco e lo lancia nel fuoco, poi ne afferra un altro e, da grande donna saggia qual è, mi dice: “difficilmente il fuoco arde se due pezzi di legno non restano vicini”. Ho compreso la sua solitudine.

Adelaide Lazzarini

 

tratto da: Cotroneinforma n.144

 

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