La gattopardesca bulimia energetica rinnovata dalle rinnovabili
La produzione energetica ottenuta attraverso fonti fossili è di per sé un male per l’umanità: la combustione di petrolio, carbone e gas trasferisce il carbonio dalla geosfera, dai depositi del sottosuolo in cui gli ecosistemi terrestri lo avevano confinato, all’atmosfera, contribuendo così al consolidamento di quella gatta da pelare che tendiamo a chiamare riscaldamento globale. Ma questo male è diventato una catastrofe perché la gatta è salita su un tetto che scotta, quello di un edificio orrendo che pende, che pende e mai non vien giù : l’economia distruttiva (basata sull’accumulazione di capitali, sull’inseguimento del profitto e sul conseguente aumento di produzione e consumi) definita da molti sviluppo, progresso oppure, in maniera sempre più ossessiva, la crescita. Si tratta di uno specifico sistema economico in rotta di collisione con i limiti oggettivi del pianeta, retto dalla legge del più forte, dipendente da un prelievo senza freni di risorse dall’ambiente e inimmaginabile senza l’incremento incessante del fabbisogno energetico. In questo tragico scenario l’economia della crescita è la causa dell’emissione compulsiva dei gas climalteranti, ma anche, a tacer d’altro, dell’avvelenamento dell’ambiente e della disgregazione degli ecosistemi: la crisi ecologica planetaria è dunque multidimensionale, e così grave da mettere letteralmente in pericolo la sopravvivenza della specie umana.
La complessità del fenomeno rende inadeguati gli approcci definiti da Ottavio Marzocca riduzionisti, che ormai declinano la crisi ecologica come cambiamento climatico e problema energetico … Le élites politiche e tecno- economiche si sono affrettate a promuovere la loro” transizione ecologica” intendendola soprattutto come “transizione energetica dal fossile al rinnovabile e riduzione dei gas climalteranti”, collegandola inoltre all’irrinunciabile “transizione digitale“, posta quasi a suggello della residualità del mondo terrestre rispetto al “metaverso” presente e futuro. Questa transizione calata dall’alto pretende di affrontare il problema con le stesse logiche e gli stessi meccanismi da cui è scaturito, impedendo così che si possa procedere con l’auspicabile coerenza rispetto ai principi di sostenibilità ecologico-ambientale, paesaggistica e territoriale (Monica Bolognesi). Basta vedere in Calabria cos’è successo ai boschi delle Serre, duramente colpiti dalla proliferazione indiscriminata delle pale eoliche: se il suolo e gli alberi sono fondamentali regolatori climatici come può il loro massacro contribuire alla transizione ecologica?
Anna Parretta di Legambiente, intervenuta a rintuzzare le critiche ai progetti di impianti eolici a mare nel Golfo di Squillace, non ha speso una parola sul modello economico ingiusto ed energivoro in cui siamo immersi, né sui sistemi alimentari devastanti che ci nutrono; insomma si è mostrata più simile a un tecnico del settore fonti rinnovabili che a una donna impegnata nella difficile lotta per il famoso cambio di paradigma. A lei peraltro sfugge un aspetto sociologico connesso al disagio ormai esplosivo nella maggior parte dei territori del nostro paese, devastati dalle conseguenze della crescita, urbanizzati e infrastrutturali fino all’inverosimile per sottomettere ogni luogo alle esigenze della circolazione di merci e automobili. La aiutiamo ad acquisire lucidità con un’osservazione di Francesco Zevio: di fronte alla delirante, aggressiva, furibonda astrattezza del sistema economico finanziario … questo campo d’azione politica risponde al bisogno viscerale di concretezza e di radicamento che porta molti individui a non potersi o volersi più riconoscere nei meccanismi e nelle logiche del detto sistema.
Non bastano dunque rattoppi, espedienti per continuare a fare quello che stiamo facendo ma con minore produzione di CO2: la transizione ecologica, cioè la gestazione di una società in armonia con le dinamiche della vita (Roberto Mancini), ha bisogno di essere collocata in una cornice politica e democratica perché non è una questione solamente tecnica, scientifica e tecnologica. Abbiamo davanti la responsabilità di ripensare le nostre economie e le nostre società e la transizione ecologica non è quindi politicamente neutra, può ridurre o acuire le enormi disparità tra gli individui al momento in esponenziale aumento (Caterina Sarfatti). Altrimenti il posto d’onore al tavolo verde della storia continuerà ad essere occupato da intraprendenti biscazzieri pronti a cavalcare l’onda green per realizzare affari grazie agli incentivi statali.
I nostri saggi padri e le nostre oculate madri costituenti avevano interpretato la guerra come un fallimento del libero mercato, di cui avevano pertanto misurato la violenza e la capacità di smembrare il tessuto sociale. Avevano provveduto perciò a porre dei limiti all’ iniziativa economica privata e avevano cercato di scongiurare che interi settori economici connessi a servizi pubblici essenziali, come quello energetico, potessero diventare fonti di profitto per pochi ai danni dei cittadini e delle istituzioni. Vuole allora la signora Anna Parretta partecipare con noi a una grande battaglia per il ritorno dell’energia pubblica? Se non vuole consideriamo il suo intervento un bel testo sul sesso degli angeli e reputiamo il suo operato più utile alle forze della conservazione che a quelle della trasformazione, alle quali ci onoriamo di appartenere.