La scelta dei governatori
Tra inchieste giudiziarie e conflitti all’interno dei partiti, non è stato per niente semplice approdare alla data del rinnovo del Presidente e del Consiglio regionale della Calabria. Dopo tanto tergiversare, alla fine il decreto d’indizione delle elezioni è arrivato il 25 novembre con la data del voto fissata nel 26 gennaio, in una sorta di election day con l’accorpamento alle regionali dell’Emilia Romagna: poco più di un mese di tempo per scegliere i candidati governatori e per preparare le liste.
Il primo a presentarsi candidato a presidente è stato Carlo Tansi, il ricercatore del Cnr ed ex capo della protezione civile regionale. Tansi è apparso subito come il più motivato, un battitore libero, anche perché frutto di una scelta autonoma e senza alcun partito al quale rendere conto.
I grillini pentastellati, debitamente sgonfiati dall’abbuffata elettorale precedente (alle Politiche del 2018 avevano preso il 44% del voto calabrese, un consenso che nemmeno ai tempi della migliore Democrazia cristiana), hanno dovuto faticare non poco per esprimere il candidato presidente. La parlamentare calabrese Dalida Nesci aveva avanzato da diverso tempo la sua candidatura, ma qualcosa non ha funzionato con Di Maio e ha dovuto fare un passo indietro.
La scelta è caduta su Francesco Aiello, professore di Economia all’Università della Calabria, che ha avuto il via libera dalla piattaforma Rousseau con poco più di mille voti, un consenso non proprio plebiscitario; ma la piattaforma Rousseau è espressione di democrazia diretta e come tale i pentastellati continuano a ritenerla, seppur ci interagiscano soltanto quattro gatti.
Anche nel centrodestra la scelta del candidato presidente non è stata per nulla semplice. La coalizione ha indicato come proprio candidato Jole Santelli, visto anche il veto della Lega che ha sbarrato la strada al forzista Mario Occhiuto, e che si è visto scalzare negli ultimi giorni proprio dal vicesindaco della sua amministrazione cosentina. Occhiuto ha dovuto inghiottire il rospo e, come per la Nesci, allinearsi alle direttive dall’alto. Dopo esplicita richiesta di Silvio Berlusconi, Occhiuto ha rinunciato anche a correre per conto proprio, evitando una clamorosa spaccatura. Quando si dice l’obbedienza al partito.
Stessa sorte per Mario Oliverio. Da vecchio cavallo di razza della politica regionale, Oliverio ha lottato a denti stretti per la seconda candidatura a presidente, iniziando con l’appoggio dei famosi duecento sindaci che andavano sempre più a diminuire, fino a diventare un pugno di fedelissimi rimasti fino all’ultimo barricati nel fortino, accerchiati e senza scampo. Zingaretti ha calato la candidatura di Pippo Callipo e nel Pd son chiusi i giochi. Oliverio ha strippato, fatto un po’ di ammuina, per rientrare poi dall’esterno con una lista legata alla presidenza dello stesso Callipo.
Troppo grosso da ingoiare il rospo per Oliverio. Qualcuno narra d’aver visto il governatore uscente a Botte Donato e dai quei duemila metri d’altitudine ululare peggio di un lupo.
La campagna elettorale
Il 28 dicembre sono state presentate le liste per dare inizio alla campagna elettorale più breve della storia calabrese.
Carlo Tansi con tre liste: Tesoro Calabria, Calabria Libera e Calabria Pulita; Francesco Aiello due liste: Movimento 5 Stelle e Calabria Civica; sei liste per Jole Santelli: Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Unione di Centro, Santelli Presidente, Casa delle Libertà; tre liste per Filippo Callipo: Partito Democratico, Io resto in Calabria, Democratici Progressisti. In totale: quattro candidati alla carica di presidente e quindici liste di candidati al consiglio regionale.
Degno di menzione il contorno di candidati impresentabili e trasformisti, quelli capaci di cambiare casacca con leggerezza, con eleganza. Quando si dice dispersa l’obbedienza al partito.
Nel complesso, la campagna elettorale si è svolta in una forma di disattenzione generale. Non s’è capito granché. In una regione devastata a livello economico e con tutti i problemi che non staremo certamente a enucleare, l’attenzione mediatica ha operato una strategia di distrazione di massa. Era come se la Calabria, marginale ma pur sempre comparata al voto emiliano-romagnolo, dovesse tirare la volata al Salvini di turno o frenare la deriva sovranista e di destra.
In Calabria sono scesi tutti i leader dei partiti. A più riprese e con diverse tappe nell’unica giornata, un mordi e fuggi. Un tempo i grandi leader chiudevano al massimo le campagne elettorali, mentre adesso c’è da perderci più tempo. Quando si dice che non ci sono i politici di una volta.
In Calabria sono scesi tutti: Salvini, Di Maio, Zingaretti, la Meloni e persino Berlusconi; più delle piazze hanno riempito i cinema, le sale conferenze, insomma gli spazi al chiuso, dove al confronto sulle idee ha prevalso la piccola dimensione parallela che interagisce con le questioni nazionali dentro le principali forze politiche e completamente scissa dai bisogni reali delle persone.
La governatrice
Alla fine la Santelli ha stracciato tutti con circa il 56% di consensi, diventando il primo presidente donna nella storia dell’ente regionale.
Andiamo con ordine.
Carlo Tansi non ha superato lo sbarramento dell’8% e resta fuori dal consiglio regionale. Tansi e tutti i suoi candidati consiglieri lasciano il campo dignitosamente, dopo una campagna elettorale pacata e con una onesta comunicazione. Viste le dinamiche in campo, forse non si poteva pretendere di più.
Il Movimento 5 Stelle si eclissa. Valla a capire come funziona la psicologia dell’elettorato: fino a due anni prima, in Calabria tutti tifosi del movimento di Grillo e Casaleggio, mentre adesso bisogna cercarli con il lanternino. Era prevedibile per un fenomeno virtuale, figlio della rete internet; sul campo i pentastellati ci han vissuto poco o niente. In Calabria e dappertutto, il M5S ha chiuso il suo ciclo, ridimensionato e allineato nel grande calderone della politica romana. Quella che conta.
Francesco Aiello non ha superato lo sbarramento dell’8% e il M5S resta fuori dal consiglio regionale. La campagna elettorale di Aiello e del M5S è scivolata nella disattenzione del suo vecchio elettorato, mentre i veleni interni hanno intossicato il clima fino al parossismo.
La coalizione di Pippo Callipo ha chiuso al 30%. Di certo, essere un buon imprenditore del tonno non comporta, di conseguenza, essere un buon politico. Forse a Callipo, i calabresi più afferrati alla politica (mettiamola così) non gli han perdonato d’essere un uomo per tutte le stagioni, conteso da Salvini, Zingaretti e dal M5S, con le passioni di destra come quando sostenne la candidatura di Wanda Ferro.
Ovviamente la responsabilità della sconfitta elettorale non è riconducibile soltanto a Callipo, quanto al Partito democratico, dilaniato al suo interno e con pulviscoli impazziti alla ricerca di un baricentro.
Qualcuno s’è affrettato ad affermare che il Pd è risultato il primo partito in Calabria. Non significa nulla e non porta sostanziali differenze, e poi cinque anni addietro Oliverio era stato eletto con una percentuale doppia di voti.
È andata così, e il centrosinistra cede il passo al centrodestra, in continuità e nella perfetta alternanza nell’ultimo quarto di secolo della politica regionale.
Una nuova legislatura
Come cinque anni addietro, più della metà dei calabresi, il 56%, si sono tenuti a debita distanza dalle urne. C’è scarso pathos con le elezioni regionali, mentre nelle altre tornate elettorali la percentuale dei votanti aumenta notevolmente: due anni addietro aveva votato il 64% dei calabresi.
Ormai il calabrese o non vota, oppure vota contro, per protesta. Come nelle Politiche del 2018 quando i Cinque Stelle, al tempo antisistema, incassarono il 44% dei voti. Come, del resto, anche un voto irrazionale alla Lega può configurarsi come un voto contro, per protesta.
Resta al momento un dato oggettivo: il massiccio astensionismo, per nulla riconducibile all’immaturità democratica o allo scarso senso civico.
Palazzo Campanella e la Cittadella regionale sedimentano nell’immaginario collettivo lo stereotipo del malgoverno, del clientelismo e della burocrazia asfissiante che porta alla disaffezione e all’astensionismo del calabrese, rendendo ancora più fragile l’assetto del sistema politico esistente.
Jole Santelli, la prima donna alla guida della Regione, non ha ricevuto un’investitura di popolo, se è vero che tutta la sua coalizione esprime circa il 20% dell’elettorato calabrese, e per tale ragione appare più debole, nonostante gli apparati politici che illuminano dall’alto.
La nuova legislatura non sarà la chiave di svolta per la Calabria. Si sente nell’aria, a naso. Sarà un tirare a campare.
Cosa ben diversa se la consapevolezza al cambiamento della popolazione portasse forme più coraggiose e determinate d’intervento nei contesti sociali di tutta la regione. Esiste una maggioranza della popolazione che vuole cambiare, che percepisce il momento difficile, uno dei periodi peggiori della sua storia, con una forte emigrazione e l’abbandono delle aree interne, con la ’ndrangheta, la disoccupazione, le diseguaglianze, la povertà.
Nessuno regalerà nulla ai calabresi se non si ritornerà a rivendicare diritti e un diverso immaginario, scrollandosi di dosso la subalternità ai potenti di turno e tutta una narrazione fatta di pregiudizi e luoghi comuni.
Parafrasando Ennio Flaiano, la situazione politica in Calabria è grave ma non è seria. Buona fortuna a tutti noi.
Pino Fabiano
Tratto da: http://cotroneinforma.org/wp-content/uploads/2020/02/139.pdf
Interessante leggere di seguito l’ intervento di Ilario Ammendolia, sulla scelta del capitano Ultimo, come assessore