L’agonia del Sud in un’epoca infame e la dimensione di una nuova responsabilità
I numeri della Svimez
Se non ci fossero i centri studi nell’elaborare dati e pubblicare rapporti, del Sud si parlerebbe in termini astratti e fatalistici. Invece, i numeri spuntano inesorabilmente ogni anno per ricordare una questione nazionale, la madre di tutte le questioni, quella meridionale di gramsciana memoria.
Sì, vabbè, la si prende larga, cosa lo si cita a fare un Gramsci di questi tempi. E poi si rischia di apparire come dei bolscevichi con la testa nel passato.
D’accordo, non la chiameremo questione, ma pur sempre necessita comprendere quel che sta accadendo nel Sud.
A luglio il Rapporto Svimez 2019 ha tracciato senza pietà la deriva economica del Sud, considerando come maggiori indicatori gli investimenti pubblici, il credito, il Pil e l’emigrazione.
E che emigrazione, da vera emergenza nazionale, altro che gli sbarchi sulle coste meridionali. Negli ultimi quindici anni sono emigrati almeno 2,5 milioni di meridionali (un terzo laureati) a fronte di un flusso immigratorio decisamente più ridotto, meno di metà. Di questo passo, la popolazione meridionale al 2030 non arriverà a 16 milioni di abitanti contro i 20 milioni agli inizi di questo secolo.
I numeri e gli indicatori sul fenomeno ci raccontano dell’inesistenza delle politiche pubbliche nel Sud che incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Il divario nei servizi si evidenzia nella minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali, sugli standard dell’istruzione e sull’idoneità dei servizi sanitari e di cura.
In maniera diretta e senza starci a girare attorno, la Svimez ha spiattellato i numeri che determinano questo gap crescente nel divario di spesa pubblica: negli ultimi dieci anni si è registrata una caduta dell’8,6% nel Mezzogiorno contro un aumento dell’1,4% nel Centro Nord. In un Mezzogiorno dove sono più deboli i settori dell’industria e dei servizi non tradizionali, il motore dello sviluppo economico è stato da sempre la spesa pubblica, e che adesso i dati certificano lo stato drammatico esistente.
La Svimez ha definito la situazione come un processo di “eutanasia” della situazione meridionale, una crisi con carattere strutturale e che richiederebbe una presa in carico complessiva e articolata che la politica non sembra essere capace di avviare.
Autonomia finanziarian differenziata
Nel corso degli anni un certo capitalismo nordico e una certa politica padana hanno saccheggiato le riserve della fatidica Cassa per il Mezzogiorno, inventando cavilli sugli sperperi della stessa e sul mantenimento di fantomatici carrozzoni. Quella che rappresentava un fattore di riequilibrio con il resto del paese l’hanno fatta sparire parlando alla pancia della gente del Sud che ha metabolizzato l’estorsione come una fatalità. E poi man mano, con lo scorrere degli anni, sono andati a ridurre anche le risorse della spesa pubblica ordinaria.
Adesso, come se non bastasse, come se la crisi del Sud fosse acqua fresca, come se i dati della Svimez e di qualsiasi altro istituto di ricerca fossero asettici numerini incasellati in altrettante asettiche statistiche, il valoroso erede di quella famosa politica padana, dopo il rafforzamento con le elezioni europee dello scorso maggio, s’era lanciato al galoppo per realizzare la cosiddetta “autonomia finanziaria differenziata”, una svolta repressiva sul livello istituzionale, fiscale, sociale, ovvero il trasferimento di poteri e risorse straordinarie al Veneto, alla Lombardia e all’Emilia Romagna: una sorta di secessione politica e fiscale dei ricchi.
Lo hanno detto in pochi, ma la mancata attuazione del regionalismo differenziato è stata forse la causa della crisi di Governo nel cuore dell’estate. E come per incanto, con la formalizzazione della crisi i temi del regionalismo differenziato sono stati rimossi dal dibattito nazionale. Bisognerà soltanto aspettare le prossime elezioni – come pensa il Governatore della “Serenissima Repubblica di Venezia” – quando il nuovo Governo leghista punterà a chiudere la partita dell’autonomia. Sicuri loro.
Certamente per opporsi al grande disegno nordista non basteranno nuovi governi o le le proposte per un’alleanza meridionalista, non basteranno i numerosi comitati sorti negli ultimi tempi contro l’autonomia differenziata, non basteranno un pugno di sindaci ed intellettuali.
Immaginare l’inimmaginabile
Occorre fare sistema partendo sicuramente dai giovani.
Non esistono politiche del lavoro, e quella del reddito di cittadinanza non fermerà l’emorragia delle energie migliori del Sud verso il Nord Italia e l’Europa. Nel passato i giovani meridionali solevano urlare “lottare per restare, restare per lottare”, mentre oggi stanno perdendo ogni speranza per il futuro e rinunciamo a lottare e a costruire percorsi di rivendicazione.
Eppure esistono delle risorse giovanili potenzialmente pronte a qualsiasi processo di trasformazione. Il Sud è strapieno di anime belle che lavorano sperimentando quotidianamente pratiche di inclusione e condivisione dei saperi. E non soltanto i giovani, anzi. Esiste in Calabria e nell’intero Mezzogiorno un’umanità eccezionale che guarda alla valorizzazione del territorio, nella centralità del capitale sociale, nella difesa dei beni comuni. Nonostante quel che si pensi (e si scriva), esiste tutto un fermento di sperimentazioni dal basso che guardano al cambiamento dei contesti sociali, utilizzando le armi della cultura, con spirito critico, nella libertà dell’intelligenza che diventa coscienza civile.
Ma non basta. Occorre, appunto, fare sistema. Occorre fare arrivare il messaggio che ci si trova tutti sulla stessa barca e non sono più i tempi per consegnare l’esistenza all’indifferenza e all’imbarazzante conformismo. Occorre un processo diffuso di responsabilizzazione, perché lo merita la memoria di queste terre. Occorre ritornare a parlare per le strade, mobilitarsi, costruire reti sociali capaci di incidere sulle problematicità e cambiarle. Occorre ribellarsi, esercitare il ripudio all’obbedienza dell’ingiustizia, dell’iniquità, delle discriminazioni.
Occorre immaginare l’inimmaginabile perché, in questa epoca infame, l’agonia del Sud possa assumere la dimensione di una nuova responsabilità per camminare verso un percorso di emancipazione e di riscatto politico, civile, economico, culturale.
Pino Fabiano
Tratto da: http://cotroneinforma.org/wp-content/uploads/2019/10/138.pdf