Per la terza volta, il 21 agosto scorso, ho visitato la grandiosa chiesa abbaziale di San Giovanni in Fiore ma per la prima volta ho potuto esaminare da vicino e con la necessaria calma – complice la pioggia battente – la statua lignea del Battista (foto a sinistra) che vi è custodita e che abitualmente è quasi invisibile, dato che è collocata, incapsulata in una teca di vetro, al di sopra dell’altare maggiore. In occasione della festa del santo – che cade, come è noto, il 24 giugno – il simulacro è stato infatti posto a lato dell’altare e qui rimarrà fino alla fine di agosto; quando queste note saranno pubblicate, la statua sarà stata dunque restituita alla sua condizione abituale di oggetto di devozione, senza possibilità di fruizione da parte di chi abbia altre motivazioni.
Mi sembra dunque opportuno, prima di addentrarmi sul terreno della filologia, tentare una descrizione dell’immagine del santo, la quale è grande al vero e poggia su una base modanata piuttosto malridotta; il modulo della figura è piuttosto allungato e la testa è relativamente piccola: la gamba destra è leggermente flessa e ciò consente all’Agnus Dei che il Battista tiene amorevolmente in grembo di drizzarsi, a mo’ di cagnolino, sulle zampe posteriori. Un lungo mantello avvolge completamente il Precursore ma il suo valore di scrigno protettivo, sottolineato dalla preziosa doratura a foglia che lo caratterizzava, è oggi obliterato da una sorda ridipintura nerastra. Anche le restanti parti della statua sono state ridipinte, probabilmente più di una volta, e fin qui siamo nel solco della consuetudine quando si tratti di immagini di culto; ciò che risulta francamente intollerabile è la presenza di un’aureola del tutto incongrua (è un eufemismo), attraverso la quale quel capo così ambito da Salomé diventa un’attrazione da baraccone. Ci si chiede dove fosse la Soprintendenza competente quando questo “ornamento” veniva applicato…
Lo stato di conservazione del manufatto, tuttavia, sembra complessivamente buono e tale da consentire la formulazione di una proposta attributiva a favore di Giovanni da Nola, che il Vasari dice defunto settantenne nel 1558 e che quindi dovrebbe essere nato attorno al 1488. La pratica dell’intaglio ligneo caratterizza l’intero arco della carriera del nolano, che un documento del 1508 definisce “alunno” dello scultore d’origine bergamasca Pietro Belverte; ad essa si affianca poi la pratica della scultura in marmo ed in questo ambito il suo primo lavoro documentato è un San Giovanni Battista (foto a destra) eseguito nel 1516 per la chiesa napoletana di Monteoliveto (nota in seguito come Sant’Anna dei Lombardi), opera utilmente confrontabile, per verificare l’evoluzione stilistica del maestro, con quella sangiovannese, che dovrebbe collocarsi qualche anno prima.
Come rivelò a suo tempo un’importante mostra materana (Scultura lignea in Basilicata, 2004), il raggio d’azione di Giovanni da Nola si estendeva anche al Cilento ed alla Basilicata; a queste zone del Regno di Napoli va adesso aggiunta anche la Calabria, ove finora, a mia conoscenza, non era ancora emersa alcuna opera a lui attribuibile. È dunque altamente auspicabile che si metta in programma il restauro di questa importante testimonianza della scultura napoletana del primo ’500, come premessa indispensabile al suo ingresso nel novero delle cose “da vedere” nell’ambito delle buone pratiche di valorizzazione del patrimonio artistico calabrese.
Piero Donati
Storico dell’Arte, già funzionario
della Soprintendenza di Genova
Statua lignea del Battista nell’abbazia di San Giovanni in Fiore.
Giovanni da Nola, San Giovanni Battista 1516, Napoli, chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto.
Credo che le opere d’arte si possano vedere con più occhi: quelli del fedele, se religiose, quelli dell’esteta, quelli dell’esperto che ha avuto la fortuna di dedicare loro il suo lavoro. Più sono le focali in possesso di un individuo e più quello è stato favorito dalla sorte: dalla sorte dello Spirito, naturalmente. La maggior parte di noi, che di quelle focali ne possiede poche o punte, deve allora far appello ai propri stimoli; e se ne avverte, appagarli, possibilmente attingendo dai quei personaggi che sanno interpretare a tutto spettro, come le lenti multifocali per il miope pure presbite. Io ho già avuto la fortuna di compiere, alla guida dell’articolista emerito cui all’oggetto, altri percorsi d’arte, definita anche minore, dai quali ho ricavato, oltre all’abbicci della lettura, la rivelazione che mai l’arte è minore, se proveniente dalle nostre radici. Ora, questo Battista ligneo mi ha mosso un nuovo stimolo, seppure per immagine trasmessa, e l’auspicio che tale bene venga restaurato e riportato al pieno godimento della gente… complimenti!
Marcello A., La Spezia.
Contributo molto interessante sotto vari aspetti. E’ molto significativo che un reperto ligneo sia messo in relazione con un’opera marmorea presumibilmente dello stesso scultore. Il legno, materiale deperibile rispetto al marmo, mi pare che rappresenti bene come la nostra conoscenza del passato si debba spesso basare non solo sui risultati di una scelta (e cioè sulle selezioni e i canoni delle varie epoche che il manufatto ha attraversato), ma anche su fatti meno essenziali e più aleatori, come appunto la durevolezza e la trasmissibilità dei materiali. Per questo la fortunosa sopravvivenza e la scoperta di elementi che in genere vanno perduti contribuiscono spesso alla completa rivalutazione di tutto un periodo artistico o un’epoca storica.
In generale, uno dei lati affascinanti della Calabria risiede proprio nell’oscurità in cui sono ancora relegate parecchie sue ricchezze, oscurità che non riguarda tanto (o solo) la ricerca specialistica, quanto la consapevolezza del pubblico e quindi la sua disponibilità a rivalutare questa regione come luogo di profondo interesse culturale. Naturalmente ciò è difficilmente ottenibile senza il supporto di una decisa politica culturale, che mi unisco all’autore dell’articolo nell’auspicare.