Comunicati sulla morte di Sekine Traore nella tendopoli di Rosarno

1. Rosarno: Carabiniere spara e uccide un migrante nella tendopoli di San Ferdinando

Nella tendopoli di San Ferdinando, definita più volte “una bomba sociale”, un migrante è stato ucciso con un colpo di pistola da un carabiniere.

Secondo le ricostruzioni ufficiali e le veline della Questura, il carabiniere avrebbe reagito ad un’aggressione, ma secondo quanto ci racconta Antonino, un compagno di Gioia Tauro che nel pomeriggio di oggi (mercoledì 8 giugno) si è recato alla tendopoli in questione per parlare con i migranti presenti ai fatti, le cose sarebbero andate diversamente.

I carabinieri sarebbero intervenuti in 6 (non in 2) dopo una lite tra due migranti incontrando la resistenza disarmata – senza alcun  coltello come invece sostenuto dai militari – di uno di questi quando lo hanno invitato a uscire dalla propria tenda. Ascolta o scarica.

Tratto da: radiondadurto.org

 

Nella baraccopoli una morte annunciata

Di questi tempi, la baraccopoli di San Ferdinando avrebbe dovuto essere vuota o quasi. La stagione degli agrumi è finita da tempo e altre colture attendono la migrazione stagionale degli africani: ortaggi e pomodori dalla Piana del Sele alla Terra di Lavoro casertana o alle campagne del foggiano. Invece sono ancora tutti lì. Molti in attesa del permesso di soggiorno prima di muoversi, altri perché dopo anni di sfruttamento non ce la fanno più e preferiscono accontentarsi di nulla nei tuguri della zona industriale della Piana di Gioia Tauro, a volte usurati dall’alcol o da chissà cos’altro. Ne avevamo incontrati alcuni qualche anno fa (e il manifesto titolò in prima pagina L’inferno di Rosarno). Abbiamo rivisto le stesse facce, sempre più rassegnate e incattivite, pochi giorni orsono.

Da allora, la bidonville si è ingrandita: attorno alle tende montate dal ministero dell’Interno nel 2010, ormai luride e sbrindellate, proliferano le capanne improvvisate degli ultimi arrivati, mentre a poca distanza un capannone abbandonato è stato occupato e trasformato in dormitorio. Gli immigrati si sono autorganizzati e San Ferdinando ha assunto le sembianze di una sorta di favela autogestita: ci sono bancarelle che vendono indumenti, il bar dove sarebbe scoppiata la lite durante la quale il carabiniere avrebbe sparato, una macelleria e pure una moschea.

I dati raccolti tra novembre e marzo dai Medici per i diritti umani, che hanno curato gli immigrati con una clinica mobile, fotografano una situazione disperata: nella baraccopoli di San Ferdinando vivono duemila persone, quasi tutti under 35, mentre altre centinaia abitano in casolari abbandonati e fatiscenti nelle campagne della Piana, senza servizi igienici, acqua ed elettricità. Il 52 per cento di loro non ha la tessera sanitaria e le patologie più comuni sono disturbi gastrointestinali (23 per cento), sindromi delle vie respiratorie (22 per cento) e problemi muscolo-scheletrici (13 per cento). Inoltre, l’86 per cento dei lavoratori africani non ha un contratto e la retribuzione media è di 25 euro al giorno, cinque dei quali finiscono al caporale che li ha reclutati. La deflazione sta facendo il resto: un chilo di mandarini viene pagato dai produttori ormai 18 centesimi al chilo, un prezzo non sufficiente a garantire una retribuzione del lavoro minimamente equa.

Nella tendopoli di Rosarno l’incidente era dietro l’angolo. Appena qualche settimana fa, solo per caso sei ragazzi non sono saltati per aria insieme alla loro tenda, distrutta dallo scoppio di una bombola del gas. Non si sono fermate neppure le aggressioni: nei giorni del sesto anniversario della rivolta, a gennaio, sono stati presi di mira gli africani che rientravano dal lavoro a piedi o in bicicletta. Gli antirazzisti locali, che stanno lavorando a una legge regionale per agevolare gli affitti di case ai migranti in modo da poter sgomberare la baraccopoli, sono convinti che “c’è qualcuno che sta fomentando un’altra rivolta”. Difficile capire chi e perché sta soffiando sul fuoco. Quel che è certo è che, dopo la rivolta del 2010, nel cono d’ombra della tendopoli di San Ferdinando tutto è tornato come prima, e non risulta che nessuno dei tre ministri dell’Interno che si sono susseguiti nel frattempo (Roberto Maroni, Anna Maria Cancellieri e Angelino Alfano) abbia fatto alcunché per evitare una nuova degenerazione. Al contrario, la situazione è perfino peggiorata. Per questo che un africano sia stato freddato da un carabiniere, una mattina di fine primavera, non può stupire. La notizia suona come la cronaca di una morte annunciata.

Angelo Mastrandrea da il manifesto

 

Sekine ammazzato tra le baracche

A Rosarno i migranti sono morti che camminano. Ma a Rosarno si cammina anche sui morti che vengono dall’Africa. Da ieri, ma non solo da ieri. Sekine Traorè è il quinto cadavere in questo girone dantesco dei dannati della piana gioiese. Aveva 27 anni, era del Mali. Viveva ammassato nella tendopoli di San Ferdinando.

Dalla buia uscita per Rosarno dell’A3, a qualche chilometro, la tendopoli non puoi non vederla. Basta percorrere la bretella che conduce al porto e incontri decine e decine di raccoglitori che, a piedi, qualcuno su una bici scassata e senza catarifrangenti, raggiunge le tante lugubri tende dove sono ammucchiati come bestie. Ieri mattina alle 7 Sekine va in escandescenza, si dice che abbia problemi psichici. Comincia a buttare a terra ogni cosa, inveisce contro i suoi compagni. A un tratto, impugna un coltello da cucina, lo brandisce. Qualcuno dei suoi amici cerca di frenare l’ira del maliano, ma è ferito a una mano. Sekine fruga nelle borse dei suoi amici, cerca di prender denaro e sigarette, forse tenta una fuga. Uno di loro chiama i carabinieri.

Questo è l’antefatto di un giorno di ordinaria disperazione a Rosarno. Arrivano due carabinieri. Uno di loro è l’appuntato Angelo Catalano. I militari cercano di parlare con Traorè, lo rassicurano per riportarlo alla calma. L’uomo però continua a brandire il coltello, colpisce più volte le pareti della tenda, cerca di fare altrettanto con chiunque cerchi di avvicinarsi. Sul posto giunge, intanto, un’altra pattuglia dei carabinieri e una della polizia. Ma Traorè non si calma. L’uomo lancia delle pietre, si avventa contro Antonino Catalano e lo ferisce con il coltello al volto, all’altezza dell’occhio destro.

Sekine viene allontanato con la forza. Poco dopo ricompare. Allora si scaglia contro il militare già ferito al viso che a quel punto estrae la pistola d’ordinanza, spara un colpo che raggiunge Traore all’addome. Disperata e vana la corsa all’ospedale di Reggio. L’uomo muore poco dopo. Quella ripercorsa è la versione fornita dall’Arma. Con troppe ombre ancora da chiarire. In un primo tempo si era parlato anche di «colpo partito accidentalmente», negando così a priori la legittima difesa. Ma qualche ora dopo la versione cambia. Perché il procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, ora pare non aver dubbi: «Il quadro che si delinea è di una legittima difesa da parte del militare», iscritto nel registro degli indagati come atto dovuto. Tuttavia sono molte le cose a non quadrare. È Antonino Celi, attivista antirazzista di Rosarno, a riferirle al manifesto.

Dalle testimonianze dei migranti presenti sul posto emergerebbero, infatti, buchi neri e salti temporali. «I ragazzi ci hanno raccontato che i militari accorsi non erano due bensì sei. Avrebbero cercato di arrestare Sekine, per il ferimento del suo compagno di tenda, ma lui avrebbe opposto resistenza aggredendo e ferendo uno dei militari. Che potrebbe non essere necessariamente colui che poco dopo ha ha colpito a morte il maliano. E il ferimento sarebbe avvenuto «per una pietra e non con una lama» rivela Celi. Cosa non di poco conto ai fini della scriminante della legittima difesa. E Sekine non era «matto» come cercano di dipingerlo. «La notte prima giocava tranquillamente a carte con altri immigrati. Mi hanno raccontato che era benvoluto specie tra i bimbi che ora piangono un loro amico», sottolinea Celi.

Insomma, Sekine era pienamente integrato nella comunità migrante, non era nè un ladruncolo, nè un disadattato, nè un alcolizzato E la storia del furto dei soldi sarebbe solo una montatura. «Ha reagito al tentativo di arresto, scalciava, ma non era certo un rambo. Questo è quello che abbiamo riscontrato da chi lo conosceva e da chi era presente». E allora perché non sparare in aria oppure a terra per dissuaderlo? Perchè mirare all’addome? Sono questi gli interrogativi a cui gli investigatori al lavoro dovranno dare una risposta. «Magari avvalendosi delle molte telecamere di sorveglianza presenti nel campo», aggiunge Celi.

A Rosarno questo morto non è il primo e non sarà l’ultimo. «Fino a quando le politiche migratorie saranno di puro contenimento e non d’accoglienza i morti dobbiamo metterli in conto. Qui i migranti sono crepati per assideramento, perchè investiti da un auto, dopo aver subito pestaggi. Se ne è parlato ma poi è calato il silenzio. Lo scenario continua ad essere agghiacciante», ci spiega Arturo Lavorato, della Cooperativa sociale Mani e Terra che negli ultimi mesi ha raccolto l’eredità dell’associazione Sos Rosarno, consolidandone l’esperienza all’insegna di giustizia sociale e sostenibilità ambientale.

A sera, la situazione al campo è tranquilla. I 400 ospiti sono scioccati. Sono arrivati i Medici per i diritti umani, gli encomiabili volontari del Medu, a confortarli. Fa capolino Don Roberto Meduri, il parroco di contrada Bosco, dopo aver accompagnato i testimoni in caserma per riferire. Ma c’è tanto scoramento in mezzo a loro. Tra odori nauseabondi, sporcizia dappertutto, tende con fori grandi così e coperti con fogli di cartone. Ieri è morto ammazzato uno di loro. «I carabinieri noi li chiamiamo quando succede qualcosa ma se poi il casino aumenta a che serve?», dicono rassegnati.

Silvio Messinetti da il manifesto

08/06/2016

Tratto da: osservatoriorepressione.info

 

2. Chi semina vento raccoglie tempesta.
VERITA’ E GIUSTIZIA PER SEKINE TRAORE

Un uomo è un uomo. Una vita è una vita. Un omicidio è un omicidio.
27. Gli anni. Ma non era un universitario fuori corso, come molti suoi coetanei calabresi laureandi in disoccupazione. Fuori sede, sì, ma all’accademia della sopravvivenza per lavoratori stranieri saltuariamente occupati e strutturalmente supersfruttati.
3. le volanti. 2 dei Carabinieri e una della polizia. = 6 agenti? Almeno… 2 per macchina, si suppone. Se non di più. I testimoni riferiscono 7.
?. Il tempo trascorso tra l’arrivo degli agenti e la morte violenta per colpo d’arma da fuoco all’addome. Il comunicato dell’Arma segnala l’orario della rissa ma non quello del decesso e tantomeno quello dell’arrivo delle volanti.
400. Circa. Ancora. Gli ospiti presenti in tendopoli a stagione ampiamente conclusa. Senza soldi senza cibo senza lavoro…
?. Il guadagno medio della stagione e la paga giornaliera media ricevuta da Sekine quest’anno per il lavoro negli agrumeti.
?. I profitti dei grossi magazzini che a Rosarno rastrellano a basso prezzo il prodotto e lo rivendono alla Grande Distribuzione.
?. Quanti marchi illustri del commercio alimentare devono lavare via negli stabilimenti il sangue dei Sekine.
5. Gli omicidi di stato di africani dal 2008 ad oggi, per quanto sappiamo, riferendoci a quanti deceduti di morte non naturale né per cosiddette “dinamiche interne”, ma per superamento della soglia di sopportazione umana – il ragazzo che si è impiccato dietro la famosa “fabbrica” – per negligenza programmata delle istituzioni – i due morti di bicicletta lungo le provinciali senza lampioni percorse dai ghetti al luogo di lavoro – per bassa soglia di resistenza ai rigori dell’accoglienza umanitaria – la persona trovata morta di freddo nei pressi della tendopoli qualche anno fa – per ragioni di ordine pubblico…SEKINE.
?. I feriti dal 2008 – anno della famosa rapina che causò il ferimento grave di due braccianti da parte di criminali locali – al 2010 della rivolta, passando per le aggressioni di quest’inverno e arrivando ad oggi – giorno di lutto e rabbia nella tendopoli di San Ferdinando per la perdita di un fratello, ucciso dallo stato per “incapacità” dello stato a garantire l’incolumità e assistenza chi dà segni di squilibrio – o come scrivono i cc è “in evidente stato di alterazione psicofisica” e secondo le nostre leggi va tutelato e curato, non soppresso.
?. Quanti di noi nati qui nelle stesse condizioni darebbero gravi segni di squilibrio e dopo quanto tempo…
?. Se nella piana di Gioia Tauro, se in Italia, se nel cuore della civilissima Unione Europea un lavoratore immigrato può sperare nella giustizia almeno da morto.
Durante la determinata e partecipata manifestazione organizzata questa mattina dai fratelli di Sekine, che vivono in tendopoli, davanti al Municipio di San Ferdinando (competente territorialmente per il sito), decine di persone riferivano una versione contrastante almeno in parte con quella ufficiale ed esprimevano sconcerto e rabbia per il fatto che le dichiarazioni rese ieri non fossero, a quanto pare, contestuali alle necessarie ed opportune procedure legali. In molti si dichiarano disponibili a testimoniare in qualunque sede. Questo con un enfasi che si accentua alla notizia che, a quanto pare, la procura si sia espressa ieri avallando la versione della polizia.
Non ci interessano i linciaggi. Le responsabilità dei singoli esigiamo che vengano chiarite prima di tutto perché, in mancanza di ciò, ci troveremmo di fronte a una grave minaccia alla libertà e all’incolumità di tutti per un precedente che nel nostro paese sarebbe l’ennesimo, siano le vittime di colore più o meno bianco, più o meno scuro.
LE RESPONSABILITA’ MORALI E POLITICHE PER NOI SONO CHIARE: CHI GOVERNA LA SITUAZIONE, A QUALUNQUE LIVELLO, E CHI CI GUADAGNA… LE PORTA TUTTE.
LE RESPONSABILITA’ GIURIDICHE FAREMO SI’ CHE VENGANO ACCERTATE.

09/06/2016

Comitato Verità e Giustizia per SEKINE TRAORE

 

3. SEKINE TRAORE: LO STATO UCCIDE E POI RIMUOVE?

La baracca dove è avvenuta la colluttazione che ha portato all’uccisione al momento non è sotto sequestro e stranamente risulta priva di “tracce” rilevabili ai fini legali.

Tendopoli di San Ferdinando, 10 Giugno 2016. La baracca in cui Sekine Traore è stato ucciso da un colpo di pistola, ormai più di due giorni fa, in questo momento non è sottoposta a sequestro. È ancora l’emporio in cui da uno stereo si sente cantare Bob Marley, qualcuno fuma una sigaretta e qualcuno beve un caffè. Non sappiamo se un sequestro c’è stato, ma nessuno sembra confermarlo. Eventualmente, si è trattato di un sequestro lampo. Tracce di sangue, comunque, non ce ne sono. Ci chiedono il perché. Non lo sappiamo.

L’iscrizione del carabiniere nel registro degli indagati è un atto dovuto, ha dichiarato il procuratore della repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza, aggiungendo prontamente che tutto sembra confermare l’ipotesi di una legittima difesa. Bene. Chiediamo alla procura della Repubblica di chiarire se e in che termini sono stati eseguiti i dovuti rilievi sul luogo dell’omicidio. Chiediamo alla procura della repubblica di chiarire se l’assoluta accessibilità dei locali a 48 ore da un omicidio rispetti o violi quello che la legge prescrive in questi casi.

Molte persone, infine, continuano ad affermare elementi importanti, ed almeno parzialmente in contrasto con la versione delle forze dell’ordine. Chiediamo alla procura della Repubblica se e in che termini è stato garantito l’esercizio del diritto/dovere di testimoniare. Nessuno dei presenti ha dichiarato di essere stato sentito o convocato in procura.

Chiediamo infine, a tutti e a ciascuno, di considerare che Sekine è morto e c’è una verità dei fatti ancora tutta da accertare. Ricordiamo che gli inquirenti hanno il dovere – morale e giuridico – di compiere ogni sforzo al fine di chiarire il più possibile questa verità. Chiediamo a tutti e a ciascuno di giudicare se questo è il modo.

10/06/2016

Comitato Verità e Giustizia per SEKINE TRAORE

4. Ciao Sekine che questa terra possa esserti lieve.

Sekine Traore. 27 anni. Maliano. Poche informazioni che non restituiscono niente di una vita intera, ma che possono già aiutare a ricostruire come Sekine sia finito a lavorare a Rosarno, come sia arrivato in Italia e che cosa abbia dovuto affrontare per raggiungere quest’Europa. Sekine Traore. Sekine Traore. Ripeto il nome decine di volte, perché mi sembra di conoscerlo già, ma sulle prime non riesco a capire. Sekine Traore, 27 anni, maliano. Sekine! Io Sekine l’ho conosciuto. Io e tanti altri che lavorano nell’accoglienza in questa città. Mantengo la speranza per un po’, sperando in un caso di omonimia, d’altronde Traore è un cognome diffusissimo tra i maliani, ma alla fine una foto su internet mi conferma quello che speravo non fosse vero. Sekine Traore ha vissuto a Roma prima di andare in Calabria, in un centro di accoglienza per senza fissa dimora dove è stato accolto e dove ha ricevuto assistenza e aiuto per poco meno di un anno. Un centro in cui è finito dopo essere uscito dai percorsi di accoglienza destinati ai richiedenti asilo come lui, percorsi il più delle volte insufficienti a dare dignità ed autonomia, spesso incapaci di affrontare con mezzi adeguati i traumi che molti si portano dietro. È una volta che si esce da lì il cammino sembra essere segnato: la strada, gli insediamenti informali ai margini delle città o i ghetti delle campagne meridionali dove la criminalità organizzata o gli imprenditori agricoli capitalizzano al meglio le politiche escludenti nei confronti dei migranti. Il percorso di Sekine è stato proprio questo ma si è interrotto brutalmente davanti ad un carabiniere che non ha saputo fare altro, davanti ad un ragazzo di 27 anni, probabilmente impaurito e scosso, con in mano un coltello di cucina e nient’altro, che premere il grilletto.

L’unica forma di Stato che Sekine ha trovato a Rosarno lo ha assassinato.

Era un ragazzo come tanti Sekine, come i migliaia che lasciano l’Africa per scappare dalle guerre, dalle persecuzioni o semplicemente dalla fame e dalla miseria che l’Occidente ha gentilmente lasciato loro in eredità dopo secoli di colonialismo e rapina. Un ragazzo come tanti che affrontano un viaggio interminabile e pericolosissimo che quando non uccide lascia ferite invisibili che cambiano per sempre la vita di queste persone. Traumi che sorgono in una delle tante tappe di queste rotte infinite, che sia il deserto, la prigione a cielo aperto che da anni è la Libia o il cimitero di acqua che ormai è diventato il Mediterraneo. Ferite che piegano per sempre e che lasciano segni indelebili che avrebbero bisogno di cure e percorsi specifici che raramente trovano.

Ma oggi, mentre corriamo il rischio concreto che Schengen crolli su se stessa, mentre in Grecia migliaia di persone sono intrappolate senza poter decidere autonomamente della loro vita, sembra proprio che le politiche sull’immigrazione di questa Unione Europea e degli Stati membri, abbiano un solo obiettivo: non esclusivamente impedire a migliaia di persone di essere accolte dignitosamente, ma sfiancare quelle che arrivano e trasformarle in corpi docili e ricattabili, non senza diritti, ma senza il diritto ad averne. La Fortezza in cui siamo arroccati, fatta di razzismo istituzionale e xenofobia dilagante, di sfruttamento e schiavismo e di tanti che hanno speculato e continuano a farlo su queste tragedia, non può che avere questo obiettivo.

La storia di Sekine ci parla di questo ed è per lui che dobbiamo gridare a gran voce che i morti nel Mediterraneo hanno dei mandanti con nomi e cognomi che siedono nelle istituzioni europee e nei governi nazionali; che lo sfruttamento nella campagne italiane, dove tanti rifugiati e migranti sono costretti ad accettare paghe vergognose, è possibile grazie a precise leggi e all’assenza totale di controlli da parte dello Stato; che è ora di dire basta ad un’accoglienza emergenziale e concentrazionaria che annulla i diritti e la dignità dei singoli e impedisce la costruzione di reali percorsi di autonomia e sostegno; che è ora di piantarla con una gestione securitaria ed allarmistica del fenomeno migratorio che dà ogni giorno linfa vitale alla xenofobia e al razzismo. Lo dobbiamo fare per Sekine e per le migliaia di persone che perdono la vita nel tentativo di forzare la muraglia che i governi hanno innalzato tra noi e loro. Ma lo dobbiamo fare anche per noi, per quella generazione europea che ha gli stessi anni di Sekine, le stesse speranze e la stessa voglia di dignità che ogni giorno viene calpestata da un’austerità che rende anche noi sempre più precari e insicuri. Lo dobbiamo fare per impedire che l’Europa diventi patria dello sfruttamento e del razzismo e per rivendicare, invece, l’apertura delle frontiere, la solidarietà, l’accoglienza dignitosa.

Lo dobbiamo fare perché Sekine potremmo essere tutti noi.

Ciao Sekine, che questa terra che ha spezzato i tuoi sogni, che ti ha emarginato, sfruttato e infine ucciso, possa esserti lieve.

Nicolas Liuzzi

Tratto da: communianet.org

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